Giudicare gli altri per ciò che fanno, senza sapere il motivo e la storia degli stessi, equivale ad essere dei completi ed ipocriti bigotti.
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Altre citazioni in arrivo qui: Manifesti
Il Vangelo dice: "non giudicare, se non vuoi essere giudicato". Io che sempre mi sforzo di comportarmi bene, per natura non giudico. Devo dire questo però: dare un giudizio contro menzogne, falsità o mettere in luce ipocriti, cianciatori o cose malvage in genere, invece, è tutt'altra cosa; forse, è doveroso, direi ...
RispondiEliminaCiao Vince!
EliminaNon so se giudicare sia sinonimo di polemizzare.
E' una domanda che mi pongo, soprattutto perchè penso di essere molto polemico :D
Jan
Ti rispondo:
RispondiElimina1) Si polemizza, spesso, per svicolare dalle proprie responsabilità, scaricandole ad altri: e ciò non è giusto!
2) Si analizzano, con sentenze, i comportamenti altrui per nascondere le proprie pecche: e questo è riprovevole!
3) Si condanna un fatto, un'azione compiuta dal prossimo solo per imporre la propria persona, i punti di vista personali o orgoglio: allora ciò è dannoso per sé e per il prossimo!
4) Si giudica perché ci si crede giusti, eletti o particolari, pur facendo di peggio di colui che è sotto accusa. E quando al giudizio segue una scia di cattiveria diretta o indiretta, ciò è segno di morte spirituale. È il caso del fariseo!
5) Si accusa anche per legittima difesa: questo caso è giustificabile solo quando si è nel giusto.
6) Si accusa pure nei casi in cui sia necessario far emergere una verità che scagioni un innocente: ciò è doveroso!
7) Quando non è richiesto, però è bene non emettere sentenze, per non cadere nell'errore di esagerare o sbagliare.
Quando, però, cercando di applicare l'autodisciplina e il controllo di sé, usando la sana coscienza nella vita di tutti i giorni - con fatica, e tra alti e bassi - ci si indirizza verso il giusto e il vero, denunziando la menzogna, la falsità, l'ipocrisia - incarnata negli stereotipi politicamente corretti dell'attuale società -, cioè tutto ciò che è male, in modo non violento, allora non si può temere di giudicare: significa lottare le cose sbagliate dalla parte giusta. Vuol dire che puoi parlare: quando non fai agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te.
Hai elencato molti esempi interessanti su cui si potrebbe riflettere e non poco.
EliminaJan
ma come si fa a sapere x certo che quello in cui credi sia nel giusto e nel vero?
RispondiEliminaLO
Probabilmente è impossibile saperlo, ma il cuore può suggerircelo. Poi, ogni volta che si sbaglia si impara qualcosa.
EliminaDicono che il cuore o la fede non sbaglia mai, ma purtroppo ciò non è sempre vero. Penso che la fede è buona fino ad un certo punto: quando non limiti gli altri a pensare anche il contrario di quel che pensi tu.
Comunque, il bene è sempre bene... come il male è sempre un male. L'unica cosa che cambia sono i motivi per cui diventiamo buoni o cattivi. Questi li conosciamo solo noi.
Jan
"ma come si fa a sapere x certo che quello in cui credi sia nel giusto e nel vero?" Per dare una semplice risposta ad una domanda tanto complessa - oltre ai saggi consigli di Jan - in parallelo ai versi del Vangelo suggerisco di pesare il giusto e l'ingiusto, il vero e il falso - ridotto in forma elementare e primordiale umana - di qualunque cosa si creda, con l'applicarlo teoricamente e onestamente a sé stessi: in sintesi, se applicata a te personalmente sia positiva o negativa. Questo, sicuramente, valuterà la scala dei valori della propria coscienza, ma interiormente però, dato che tale prova - teorica - nonostante la coscienza umana sia standard per tutti, non lo è però come dato di fatto esteriore. Perché la coscienza può essere variamente sovvertita e a ciò incide in modo decisivo la morale politicamente corretta della società in cui si vive. Morale sempre sbagliata nella sostanza, perché imposta dal potere vigente, il cui unico interesse è l'arricchimento e l'asservimento psico-fisico del popolo da parte della solita -più o meno occulta - ristretta élite.
EliminaQuindi - a mio avviso - è valido sempre riferirsi ai valori interiori ancestrali della coscienza, che sono poi quelli reali, non stereotipati; cioè quelli spontanei, naturali, e non forzati dall'esterno.